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Io ed il motorsport

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Kartista disperato
Non mi ricordo quando ho preso contatto per la prima volta con le competizioni automobilistiche.
Non ricordo se sia stato la prima volta (delle almeno 100) che ho visto Giorni di Tuono, se giocando con NASCAR Racing 2 nella calda estate del 1997, o magari vedendo per sbaglio una gara di F1, dato che mio papà e mio fratello non ne perdono mai una praticamente. Di sicuro, però, era uno spettacolo che non mi lasciava impassibile: tutt’altro.
Nell’estate 2001, poi, sono passato dalla parte passiva dello spettatore alla parte attiva: la prima volta su un go-kart; e, da allora, non c’è stato più nulla da fare. Ho guidato kart da noleggio così come 125 da competizione; sono sceso in pista sull’asfalto dei tracciati più importanti d’Italia, del Mondo, se teniamo presente che il nostro Paese è un po’ la culla del karting globale.
O forse lo era.

Perché?

Perché da qualche anno mi sto addentrando in questo sport, conscio che, comunque, sono ancora molto distante dal nocciolo. In questo breve periodo però ho potuto capire varie cose: talvolta tendo ad essere buonista, ma ciò non significa che non ci veda.
Il motorsport è uno sport bastardo; non sei solo tu a confrontarti con l’avversario, ma devi passare attraverso un mezzo. A motore, per essere precisi. Ed è qui che sta la differenza con gli altri sport. Quello che sto per dire riguarda nello specifico il mondo del karting, ma si tratta di discorsi che – ahimè – possono essere applicati anche ad altre categorie, soprattutto europee.
Lo sport, dicevo, è per sua definizione un confronto tra atleti, possibilmente alla pari, nel pieno rispetto reciproco; ma se tutti danno il massimo, anche dal mezzo bisogna spremere il massimo: ecco dunque che, negli anni, si è cominciato a renderlo sempre più sofisticato, questo mezzo. Complice una struttura istituzionale che non ha mosso un dito negli ultimi 10 anni per promuovere veramente lo sport, si sono viste arrivare dotazioni degne della Formula 1, in uno sport che dovrebbe essere la base della piramide: 4 ruote, un telaio, un motore e tutto quello che rimane dovrebbe essere solo divertimento, competizione e pacche sulle spalle alla fine di ogni manifestazione.
Invece siamo arrivati ad avere mezzi che sfiorano i 10000€ per fare anche solo il campionato regionale, e così lo sport è diventato d’élite. Sì, è sempre costato un sacco correre, è vero, ma un conto sono le spese ed il guadagno sacrosanto di chi ci lavora.
Un altro discorso, però, sono le speculazioni assurde a cui gli appassionati hanno dovuto sottostare fino all’irreversibile punto di rottura.
Sto parlando di competizioni, naturalmente. Si tratta di mezzi da competizione, e dunque per me è logico che si usino per competere. Girare liberamente la domenica senza una classifica finale, per me, non ha senso – a meno che non sia un allenamento in vista di una competizione futura.
Questa gestione scellerata dello sport ha fatto sì che il karting “individuale”, fatto di chi il kart ce l’ha, si sia via via desertificato, facendo migrare gli appassionati nelle categorie minori (gare abusive o giri liberi nel week-end per chi ha tenuto l’attrezzatura, endurance a noleggio per chi nella maggior parte dei casi ha invece venduto tutto).
Quando la corsa si fa dura

L’endurance oggi

Qual è il risultato di questa situazione? Un karting individuale divenuto esclusiva di chi può spendere almeno 5-10000€ all’anno, arrivando tranquillamente a dieci volte tanto per entrare nel giro “di quelli che contano”. 100000 per correre su un go-kart. Vi sembra logico?!
La parte interessante però è il mondo rental, ovvero quello dei kart a noleggio e delle gare endurance: c’è chi ha creduto molto nelle potenzialità che questa categoria può esprimere, ed ora ne sta traendo grandi (meritati) benefici. Il livello delle competizioni inoltre si è innalzato non di poco, dato l’arrivo di piloti ben più esperti dalle categorie superiori e di mezzi più performanti.
Solo una casa produttrice al mondo, però, ha pensato di regolamentare le competizioni, istituendo un ranking mondiale con tanto di finale, mentre la federazione internazionale e quella nazionale se ne sono fregate bellamente finora, perché tanto dei poveracci, qua, non gliene importa niente a nessuno. E forse è meglio così, perché queste due istituzioni, di solito, fanno più danni che altro.

Gli sciacalli dello sport

Essendo competizioni, però, le persone sono portate a volere sempre di più, e perciò ecco che i piloti sono disposti a spendere di più per essere più veloci degli avversari, mentre gli addetti ai lavori hanno approfittato di questa situazione;  e così mentre chi ha costruito uno sport e lo ha tenuto in piedi con la passione, l’impegno ed il sacrificio, il karting ha cominciato a popolarsi di gente che di motori non ne capisce proprio niente, ma che sa fare bene i propri conti, trasformando il nostro sport in un passatempo extra-lusso riservato a miliardari. Tutti si improvvisano preparatori, istruttori, organizzatori, e chi più ne ha più ne metta, pur di spartirsi questa torta nuziale extra-farcita, sbandierando i valori della passione e della professionalità per attrarre l’ennesimo pollo da spennare.
Chi ne fa le spese di questa situazione? Gli appassionati, naturalmente. Piloti che sarebbero disposti a sfidarsi anche con i carrelli della spesa, pur di avere un mezzo con cui competere. A noi non interessa il telaio all’ultimo grido, il motore più potente di un cavallo o le gomme più morbide delle chewin-gum. No. Noi vogliamo sorpassi al limite, un po’ di velocità, correre alla pari e fare le grigliate a fine gara. Questo è il nostro sport, è così che dovrebbe essere.
Per fortuna c’è chi nel nostro Paese ha ancora quest’idea, ma sono davvero poche persone, e noi appassionati dobbiamo fare lo slalom tra i farabutti che sono qui di passaggio per succhiare soldi finché ce ne sono, lavori usa-e-getta per chi, prima o poi, volterà le spalle a questo ambiente, andando alla ricerca di qualche altra attività imprenditoriale per gonfiarsi il portafogli. E questo, purtroppo, è un po’ il riassunto del nostro Paese.

Una passione dura a morire

Ho corso con la pioggia e con il sole, di giorno e di notte, al chiuso ed all’aperto, sotto al sole cocente ed in serate gelide. Da solo o in compagnia, ho fatto incidenti, sono tornato a casa incapace di camminare, passando nottate pietrificato a letto per i dolori alle costole. Ho corso con la febbre o in condizioni ottime, con perfetti incapaci che mi hanno concesso vittorie facili e con professionisti che mi hanno letteralmente asfaltato. Qualche volta sono anche arrivato primo, altre sono arrivato miseramente ultimo.
Io spero che i veri appassionati non si perdano mai d’animo, anzi, che ne arrivino di nuovi, perché questo può essere uno sport meraviglioso. Ci sono manifestazioni meravigliose che non meritano l’assenza degli sfiduciati, ed è giusto premiare il lavoro di chi si dedica totalmente a questa pratica; le persone oneste ci sono ed è giusto onorarle, perché se sei onesto e lavori bene puoi anche uscire dalla crisi.
Se sei disonesto, invece… Ma d’altra parte, la situazione del nostro sport è anche lo specchio della nostra società, della nostra – povera – Italia: è pieno di furbi, e noi abbiamo il difficile compito di ridare fiducia a chi l’ha persa ed a chi non ne ha mai avuta.
Dobbiamo ripartire dalle persone oneste, non credete?
Nascar Bud Duel 1 Daytona 2014

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