Marco

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Riflessioni sul traguardo

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Era ormai da un po’ che non scrivevo sul mio sito, vuoi per mancanza di tempo, o per mancanza d’ispirazione. Fatto sta che, nel frattempo, sono riuscito a concludere gli studi della Laurea Triennale in Ingegneria dei Materiali, raggiungendo così un ambìto – quanto sofferto – titolo di studio che rincorrevo da ormai sei anni.

Non è stato facile, per niente. Forse non sono nemmeno mai stato veramente convinto delle mie capacità. Il mio percorso è stato minato prima da una preparazione matematica disastrosa all’uscita delle superiori (cosa ben diversa, invece, della preparazione tecnica offerta dall’ITIS Rossi, seconda a nessuno a mio parere), poi da una mononucleosi a metà del primo anno. Per completare l’opera si è aggiunta la riforma universitaria, con applicazione del regime di transitorio che ci ha catapultato fuori corso da subito praticamente, ed in aggiunta a ciò c’è stato da parte mia un impegno probabilmente non sempre all’altezza.
Dal canto mio ritengo di aver lavorato al massimo delle mie possibilità, ma il risultato finale non rientra in quelli che sono i miei standard: un ritardo vergognoso nel concludere il percorso di studio, per giunta con un voto che sarà vicinissimo al limite minimo per l’accesso alla Laurea Magistrale. Non è esattamente quello a cui sono abituato: quando mi fisso un obiettivo lo raggiungo, spesso con risultati ben oltre le mie stesse aspettative, che sono sempre altissime.
Sì, sono molto esigente con me stesso, ed in questo caso non sono per niente soddisfatto di come è andata.
C’è da dire, però, che non è solo colpa mia. Iscrivendomi all’Università di Padova pensavo di entrare in un mondo fatto di grandissima professionalità, di elevazione culturale ed intellettuale impareggiabile, ma non è stato così: organizzazione scadente, strutture talvolta fatiscenti e personale inadeguato mi hanno fatto pensare più e più volte che forse non ero nel posto giusto, dove si viene riempiti di teoria ma con zero pratica, andando quasi a “sporcare” la formazione esemplare che un ITIS serio può dare.
Gli insegnanti, poi, meritano un discorso a parte: come dappertutto c’è il buono e c’è il marcio, e l’università non è diversa dal mondo reale in questo; il problema è il bilanciamento tra le due cose.
Durante questi sei anni ho trovato insegnanti pieni di passione, orgogliosi dei propri studenti e di trasmettere loro il proprio sapere. Persone disposte a concedere sempre un minuto in più per un chiarimento, una delucidazione, o anche solo per dare dei consigli. Persone appassionate del proprio lavoro, che lo facevano – e tutt’ora lo fanno – con estrema umiltà e spirito di servizio. Il problema sono tutti quei praticanti dell’insegnamento, persone frustrate ed infelici che vanno a rovinare tutto il buon lavoro fatto da chi s’impegna.
Alla professoressa designata per gli esami di recupero di Matematica 3 abbiamo dovuto spiegare tre volte – 3, non una! – il programma su cui doveva impostare l’esame, ed è stata in grado di invalidare l’esame sbagliando platealmente il primo appello, incentrandolo sulla parte di programma di Analisi Matematica 2 che non competeva a noi.
Il professore di Termodinamica spiegava senza microfono con oltre 150 studenti in aula, parlando sottovoce, ed ignorando le richieste degli studenti. Faceva un esame su teoria ed esercizi, ma non ha mai fatto esercizi in aula, ed abbiamo dovuto trovarci da soli un assistente disposto a spiegarci cos’avremmo dovuto fare nel suo esame scritto. Passato lo scritto, avremmo dovuto sostenere un’orale su 20 domande note, dove la risposta ad ognuna erano almeno 3-4 pagine di sole formule, senza così imparare effettivamente nulla di pratico, o quantomeno capire che utilità avrebbe avuto nel nostro percorso di studio (salvo poi scoprirlo a malincuore nei corsi successivi).
Gli apostrofi che poi tale essere inutile – perché è tale uno che insegna ma non ha nessun interesse a farlo, se non economico – affibbiava durante l’orale sono da ricordare: “Se potessi decidere del suo futuro, la manderei a spaccare pietre”, “Ha mai pensato di fare il prete?”, “Lei non è fatta per essere un’ingegnere”, “Se l’ho promossa è perché in un sistema serve uno spurgo, una fogna, altrimenti esplode”, “Lei è venuto qui tentando la sorte, se ha già passato altri 18 esami è perché ha trovato 18 paraculi” e tanti altri.
Il professore di Matematica 1 non sapeva spiegare gli integrali: un giorno, arrivato in fondo ad un calcolo e non riuscendo più a venirne fuori, ha rinchiuso tutti i calcoli in un riquadro grande come la lavagna da 4 metri che aveva riempito, aggiungendo la nota “ricontrollare per casa”, senza più spiegare l’effettiva soluzione.
Il professore di Matematica 2 poi ha raggiunto l’apoteosi: prima mi ha detto che sarebbe stato grave avere più di un esame arretrato dopo sei anni all’università, poi alla registrazione mi ha chiesto se avessi continuato gli studi e, dopo aver sentito la mia risposta affermativa, mi ha detto “Allora io la devo fermare, le faccio un bell’orale così la boccio, perché persone come lei vanno fermate, con tutto quello che ci costano i fuori corso, soprattutto adesso”.
Per fortuna sono riuscito a dirgli quello che si voleva sentir dire, così mi ha registrato l’esame (sbagliando l’accredito sul libretto tra l’altro, piccola rivincita verso chi insegna agli altri come vivere la vita ma che poi non sa nemmeno fare una firma su un libretto).
Capito? Se pensate di iscrivervi all’università, questo è quello a cui rischiate di andare incontro, pertanto spero per voi che abbiate ben fisso l’obiettivo perché io un percorso del genere, ora come ora, non lo ricomincerei per niente al mondo: lacrime, notti insonni, rodimenti di fegato e incazzature proverbiali non valgono, a mio avviso, un titolo come questo, in un Paese come questo. Il gioco non vale la candela.
Ciò nonostante, in questi sei anni ho fatto tante esperienze; l’impegno verso l’università è sempre stato massimo, ma raramente ha dato i risultati sperati. Ciò nonostante ho conosciuto tante persone dal cuore grande, ho imparato un mucchio di cose tra cui un lavoro, educare i giovani, montare filmati, creare animazioni 3d, fotografare, controllarmi, e molte altre cose.
Peccato, che in questi ultimi sei anni, la pagina più buia sia stata proprio l’università ed è per questo che voglio proseguire alla specialistica. Per avere quel riscatto che aspetto da ormai troppo tempo.
Un amico una volta mi ha ricordato che un traguardo è anche un nuovo inizio; “Start-finish line” lo chiamano, in inglese. Mi auguro profondamente che in questo nuovo percorso ci sia più luce o, almeno, di riuscire ad apprezzare quella che ci sarà.

PS: questa riflessione, comunque, non vuole togliere nessun merito a quegli insegnanti che, in questi anni, hanno dimostrato grandissima professionalità ed ai miei compagni di cammino ed amici che non hanno mai rinunciato a sostenermi nei momenti di profondo sconforto, che sono stati davvero tanti.

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