Racing

Tempo di lettura: 4 minuti

Gare endurance, queste sconosciute

Esiste una categoria, nel karting europeo, che sta crescendo e sta portando in pista un sacco di appassionati, dai neofiti ai professionisti.
Nessuno, però, sembra volerne parlare.

Qui parliamo di: Circuito di Pomposa, endurance, Formula 1, karting, KCE Misanino, motorsport, privati, VKI
Prossima gara
  • 6 Aprile 2024 - 7 Aprile 2024

    24h di Jesolo


Spesso i kart possono sembrare tutti uguali.
Spesso il karting può essere sminuito ad una semplice categoria di “macchinette”, ma non è così, e in questo articolo vi spiego il perché.

Da sempre questo sport è stato diviso in due categorie: i “professionisti”, o privati, ed i “noleggi”.

Il mondo dei privati e dei professionisti

I privati sono tutti quegli appassionati che il kart se lo sono comprato, che passano le serate in garage a smanettare su assetto e motore, e che saltuariamente o regolarmente portano il loro gioiellino in pista; si tratta di mezzi leggeri, spinti da potenti motori 2 tempi da 100cc o 125cc (60cc per i più piccoli) capaci anche di 45, 50 cavalli di potenza, le cui caratteristiche vengono esaltate da pneumatici estremamente performanti che fanno raggiungere a questi veri e propri missili prestazioni – in percorrenza di curva ed accelerazione soprattutto – paragonabili solamente alle auto di Formula 1.
Un sottogruppo molto ristretto di questa categoria è costituito dai professionisti: si tratta di piloti dotati di grandi capacità, economiche soprattutto (non stiamo qui a sindacare se supportati da sponsor, case costruttrici o – come spesso accade – genitori), che disputano le gare più importanti della categoria. Campionato Italiano, Europeo, Mondiale, WSK e tante altre manifestazioni extra-campionato sono il terreno battuto da questi piloti le cui abilità, comunque, sono in buona parte notevoli a dir poco.
Kartista disperato

Il mondo del noleggio e dell’endurance

Dall’altra parte della siepe troviamo il mondo dei “noleggi”: kart a 4 tempi pesanti, robusti e decisamente meno prestazionali rispetto a quelli sopra citati. Si tratta di mezzi destinati ad un’utenza quanto più varia, che va dai neofiti che un kart non l’hanno mai visto fino a ex-privati o ex-professionisti.
Proprio per queste ultime fasce di piloti sono nate le gare endurance: gare da disputare in squadra, la cui durata va da poche ore per arrivare fino alle manifestazioni più lunghe, che possono essere di 6, 8, 12 o addirittura 24 ore (come la 24 ore di Jesolo), o misurate sulla distanza delle centinaia di chilometri o miglia (come la 500 miglia di Pomposa, per fare un esempio).
DSC_5837

Un confronto è possibile?

La prima categoria di cui abbiamo parlato, quella dei privati, in Italia ultimamente sta soffrendo molto: i mezzi costano una fortuna, per non parlare dei ricambi e dei cicli di manutenzione che un mezzo così semplice e sofisticato allo stesso tempo richiede.
Per questo motivo alle gare minori si vedono categorie differenti accorpate per avere un numero ragionevole di mezzi in pista, mentre nelle gare maggiori il parco partenti è costituito principalmente da piloti molto facoltosi o estremamente bravi; i primi citati possono correre a noleggio, pagandosi l’assistenza tecnica e l’eventuale noleggio del mezzo, mentre i primi 9-10 (quando va bene) possono contare sul supporto delle case o dei team.

Ovviamente si tratta di uno sport che è sempre stato costoso, ma forse ultimamente siamo proprio fuori strada se vogliamo promuoverlo.

L’endurance, d’altro canto, è proprio ciò di cui questo sport ha bisogno per attuare quella che Karl Abarth chiamava “democratizzazione delle corse“: dare la possibilità a tutti, sullo stesso piano e con un contributo economico contenuto, di presentarsi in griglia di partenza.
Niente hospitality da Formula 1, niente super-team, niente leghe speciali e tecnologie ultra-avanzate: solo passione, amicizia, divertimento ma, soprattutto, competizione.

Quello che tutti – addetti ai lavori in primis – sbagliano è proprio trascurare questa categoria per via dei mezzi.

È ovvio che non c’è paragone, sarebbe come paragonare un’auto derivata dalla serie con una F1: una è lenta e pesante, l’altra ha tutta la tecnologia e la potenza che i reparti ricerca e sviluppo (e ore ed ore di test) possono mettere a disposizione.

Ora, poniamoci una domanda: sul piano della competizione come la mettiamo?

La guida endurance richiede stabilità mentale per tutto l’arco della gara, saper gestire le proprie energie sulla lunga distanza. C’è il team manager, ed una strategia da far invidia alle categorie più alto-locate. I mezzi sono tutti uguali, perciò è difficile che vinca chi ha un team di 10 persone alle proprie spalle.
Le griglie di partenza sono piene, e quando non lo sono ci sono sempre almeno 20 partenti; le gare si combattono sul filo del rasoio, e si possono trovare in pista padri di famiglia lì per distendere un po’ i nervi così come professionisti. Sì, proprio i professionisti di cui parlavamo poco più in su.
Insomma, l’endurance è un mondo che unisce la goliardia delle squadre da soppressa e vino nel paddock con il mondo dei piloti professionisti, che magari corrono anche in auto. Non è meraviglioso?

E allora, perché TV, radio e soprattutto i giornali di settore (che sono i primi colpevoli a mio parere) continuano a sponsorizzare le categorie dell’Olimpo senza curarsi di un settore che sta mantenendo popolare uno sport ormai morente?

Le gare endurance non sono le gare della parrocchia. Forse una volta lo erano, ma al giorno d’oggi sono gare a tutti gli effetti, tanto che la CSAI (forse attratta più dall’odore della cartamoneta frusciante che dall’opportunità di promuovere lo sport) ha scelto di regolamentare la categoria ed il livello continua ad alzarsi.
A questo punto la mia domanda è: va bene, la Formula 1 è la Formula 1. Ma l’automobilismo vero è fatto solo di auto, o anche di piloti?

Ricordiamo che la Formula 1 vera non è quella attuale. In quella attuale la tecnologia è spinta ai massimi livelli a discapito della competizione, ma ad aver fatto la storia della categoria sono stati soprattutto i piloti.

E allora vogliamo continuare a seguire uno spettacolo ormai morente, fatto di computer ipertecnologici che sfrecciano ai 300 all’ora, o vogliamo dare spazio invece a chi di motori ne è veramente appassionato?
L’analogia nel karting è calzante: di certo le griglie di partenza del Mondiale e dell’Europeo saranno sempre piene, ma sono queste categorie quelle che tengono in piedi il karting?
Tramonto su Misano

Articolo precedente
2016: un altro anno di corse
Articolo successivo
Racing News: marzo 2016